lørdag 30. juni 2012

Get lucky

Non saranno le sbarre a spezzarti. Non sarà l'astinenza a spezzarti. Non sará la mancanza, a spezzarti. Non la paura, non il freddo, la fame, il vuoto, l'infinito nero dello spazio.

HELL IS OTHER PEOPLE

Cerco di pensare ai nostri discorso diluiti nell'alcol. Cerco di pensare al momento in cui mi salva la vita, prendendomi a bordo della Almost Home. A quando s'indurisce come il cemento, e dà ordini come se non ci fosse un domani, per salvare l'unico domani possibile. Cerco di pensare a quando ho deciso che la mia vita non avrebbe potuto andare altrimenti. L'unica cosa che vedo è il suo sguardo ferito. La vena bruciante di sufficienza rabbiosa, tradita. Silente. Mentre mi supera, mentre si allontana. Mentre inaugura l'inverno a maggio.
M'avevano rassicurato, in passato, che gli anni avrebbero tolto innocenza e regalato spietatezza. Non capivo, non ho capito finchè non ho lasciato l'ingenuità rotolare a terra come un sacchetto di biglie aperto. Non la vedevo, la spietatezza, nello sguardo di mio padre. Nello sguardo di Zachary. Di Presta. Del comandante Richardson. Solo dopo, anni dopo, ho compreso che non è visibile. Ciò che molti si aspettano di vedere sul volto di una persona che ha attraversato l'inferno a piedi nudi è insicurezza, paura. La spietatezza ha un altro aspetto. E' gentile, discreta. E' il freddo che ti cinge il cuore con calma rassicurante. Che ti illude di poter soffocare ogni emozione. Ogni. Singola. Emozione. E che te ne convince. Giorno dopo giorno. Non è spietatezza, la mia. Ora lo so. Me lo sono dimostrato, colpo dopo colpo. Insulto dopo insulto. Non masticherò l'orgoglio e non lo inghiottirò. Non potrò mai mandare il cuore in apnea così a lungo. Morirò prima. Jack non avrebbe mai potuto soffocare il cuore così a lungo. Jack non ci sta più. Ma questo è il nostro giorno fortunato.

Guardo Polly, nella gabbia di fronte alla mia. Guardo lui e vedo il casino in cui l'ho trascinato. Eppure non si lamenta, non insulta, non protesta nemmeno. Dice che sarebbe finita comunque così. Mi chiedo se è vero, se è semplicemente quello che abbiamo sempre saputo. Che stanno venendo a prenderci, che c'è un McCorvin sulla via per il nostro Saloon. Eppure restiamo. Restiamo, e nessuno se la dà a gambe. E' orgoglio stupido? Coraggio idiota? O è ciò che farà aprire gli occhi a questo dannato posto? Guardo Polly, scambiamo battute idiote. Dice che Jack è sollevata per il fatto che sia lì. Il mio angelo custode apprezzatore di tette. La mia spalla su cui crollare, sversa o dietro le sbarre. E' il mio giorno fortunato.

Non mangio. So già che uscirebbe tutto tanto veloce quanto è entrato. Vomito saliva, mi contorco nella mia astinenza. Non fosse per lo zaleplon di Ilias avrei preso il muro a testate fino a spaccarmi la fronte. Ho bisogno di bere, ho bisogno di lui. Non è solo il bisogno di crollargli accanto e parlare. Svuotare tutte le idee annodate, tirarle fuori tutte insieme per forza perchè da sole non esistono. E' un bisogno fisico pungente, così doloroso da mozzare il fiato. Ho bisogno della sua pelle appiccicata alla mia, ho bisogno del suo possesso disegnato a sguardi strattonati, voraci, gelosi. Ho bisogno dell'angolo della sua bocca, perchè senza il 'Verse è fuori asse. Non vederlo, non sapere nemmeno se sia in vita, mi riempie il cuore e lo stomaco di grumi neri appiccicosi e pesanti. Vomito tutto. Vomito grumi neri, mi vomito lo stomaco. Mi vomito anche il cuore. E' il mio giorno fortunato.

Le voci si confondono. Il sonnifero si impadronisce di grandi fette di mente, di grandi fette di ricordi. Lo sguardo dolorante di Roona. Le dita di Pike a pochi pollici dal vetro blindato. La preoccupazione livida di culo di Chiodi. Gli occhi di Quinn, che slittano sul sentiero delle mie sconfitte. Quelle dentro. Eppure le parole di John mi restano limpidamente incastonate nella mente. Le pietre sulla tomba. Non c'erano più fiori, dopo la guerra. Erano stati rasi al suolo assieme alle persone. Mi guardo le nocche, o quel che ne resta. A volte bisogna crivellare una corazza di colpi fino a polverizzarla, per ricordarsi del cuore pulsante che vi si nascondeva sotto. Il cuore pulsante su cui ho marciato senza pietà. Su cui la guerra ha marciato senza pietà. Guardo John, nemmeno vent'anni ed una pistola alzata contro gli alleati per difendere il suo capitano. La guerra ha ridotto il nostro 'Verse in un cumulo di macerie celebrative. E noi ci consumiamo pascolando fra i resti, vedendo noi stessi come eroi. Dobbiamo vivere di luce propria, finchè la polvere non si abbasserà e ci lascerà rivedere il sole. Un ragazzino diventa un guerriero. Un meccanico diventa un costruttore di futuri. Un capitano diventa il messia. E' il nostro giorno fortunato.

Siamo persone che si sono rese la rivoluzione facile. Il nostro senso di colpa riesce a mimetizzarsi sulla parete del cervello, indossando le spoglie più singolari. Rabbia, vendetta, odio. Il senso di colpa per aver fallito, ad ogni colpo. Dal primo grande colpo. Vedo Zoya uscire dalla stanza, ne sbrano la sensibilità solo per abbassare le tapparelle del silenzio sulla stanza. Poi parliamo. Parliamo del messia con un mauler alzato nella destra. Hanno bisogno di vederci vincere. Parliamo della nostra guerra. Della fine dei compromessi.

Ha lasciato il ranch. Ha lasciato i compromessi a me. Lei ha chiuso. Non so che faccia indossare, ora, non so attraverso quali occhi guardare Roon. E' come se lo avessi potuto sentire, il suo cuore. Scricchiolante sotto i colpi sparati al saloon. Mentre vede le pareti crollare e l'odio insinuarsi ovunque. Mentre vede l'odio che ha sempre abitato le anime farsi visibile. La rabbia risalire i corpi e tornare a galla. Non conosco le dimensioni del buio che porta dentro. Ma inizio a vederlo, mentre cola dalle sue labbra serrate. Invisibile, bruciante. Invisibile come i segreti che Quinn ed io abbiamo palleggiato di fronte a lei per mesi. Per proteggerla. Mi viene da ridere, ora. Cosa cazzo credevamo. Il giorno in cui saprà, le cadrà il cuore quattro piedi sotto terra. Ecco come l'avrò protetta. Scavando la fossa per le nostre menzogne. Scavando una fossa tanto profonda da assicurare il suicidio della fiducia. Il suicidio di tutto ciò che abbiamo avuto. Eppure non posso lasciarla in pasto alla verità. Non ancora. Non con il buio colante, non con il suo sguardo stanco. Non quando si sottrae al tocco, e se ne va. Da sola. Resto. La costruzione può solo iniziare dove ha stretto radici nella terra. E' il mio giorno fortunato.

Invento balle quotidianamente, e poi ci bevo su. Con Quinn non mi sono nemmeno dovuta sforzare. Torna a Gào Shi. Non sarà su St. Andrew. Mi indica la tenda. Vestiti puliti. Whisky, silenzio. La fine della prigionia inizia superato il confine dentro. Lei ha sempre le chiavi giuste in mano. Si spoglia e cerca di lavarsi di dosso i miei misfatti. Minaccia più che apertamente, ma le minacce funzioneranno solo il giorno in cui potrà cavalcare un cavallo meccanico volante. Mentre cerca di sfilarmi le radici da sotto i piedi e piantarle in tutta sicurezza fra quelle della Quercia Nera, io chiedo della prossima nave per Hall point. Mi guarda in modo strano. Non da moglie tradita. Come se all'improvviso si trovasse su un'altra isola. Non ci sfioramo, ma è come se avessimo passato millenni abbracciate, dopo che mi ha tirata fuori dal postaccio infernale. Mi chiedo cosa farò quando i manichini capiranno che è in grando di intendere e camminare, e la rapiranno per sempre. Mi chiedo cosa farò ora, mente le placche che abbiamo sotto i piedi slittano e ci trascinano ognuna sui suoi binari, squarciando la crosta, sfiorando la prima casella del domino che scatenerà il terremoto al piano di sotto. Mi chiedo cosa farò quando l'avrò delusa troppo. Mi chiedo dove sia il limite, a che punto il suo cuore si rifiuterà di continuare a partecipare al nostro gioco assurdo. Ci siamo addormentate vicine. Nel silenzio, ho sentito ogni sua parola. Sostanzialmente, TIENITI LONTANA DAI CASINI. Io non posso. Non posso. Noi siamo nel saloon, e McCorvin sta arrivando. E' il mio giorno fortunato.

E' atterrato da parecchie ore, ma non ne ho ancora visto l'ombra. Sta parlando con Jack. Divido una bottiglia di vodka con Demidov, lo vedo addirittura sorridere. Scambio un paio di insulti con Ilias, mentre Polly si accorda con Sharpe riguardo rotte per St. Andrew. Sentire il metallo familiare della Almost Home contro la nuca, con l'alcol in circolo a calmare le grida più stridule del corpo, mi rilassa. Eppure non placa. Come se la sua vicinanza rendesse i grumi dentro più densi, più pesanti. Frammenti di piombo che lentamente scivolano attraverso la parete dello stomaco, il pavimento dell'anima, che schiantano tutto un corpo in lotta a terra. Scrivo, risponde, alla furia più cieca bastano due parole. So esattamente cosa succederà. So esattamente cosa succederà quando mi lascio la Almost Home alle spalle, barcollando. Quando percorro il sentiero buio tentando di riassorbire tutto lo spettro emozionale che ho lasciato in custodia alla signora in giacca blu insieme ai miei effetti personali. Una sola parola, e l'ha riacceso tutto. So esattamente cosa succederà, tempo di asciugare gli occhi, mentre divoro gli scalini a due a due. Il ritmo cardiaco devia, si immette su binari propri. Scoppierebbe, a dover sopportare le leggi della fisica di questo pianeta. Di questa realtà. Spalanco la porta. Gli insulti non fanno in tempo a scontrarsi e scoppiare come bolle di sapone che stiamo già lottando a morsi sulla stessa tavoletta di ossigeno. Chiudo la porta, lasciando fuori il 'Verse. Sono i cuori, ora, a scandire il passaggio del tempo. Giuro. Siamo nella nostra macchina del tempo personale, a giocare con lancette di nervi. Giuro. Bastano i suoi occhi a ricordarmi che nelle vene sto contrabbandando cherosene. Giuro. Che l'incendio divorerà tutto, fino all'ultima briciola di esistito.

E' il mio giorno fortunato.




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