lørdag 31. mars 2012

With my head on the pounding ground

Guardo i resti della pagina che ho strappato e mi chiedo cosa è successo, perchè sono qui. E' come se fossi caduta da un sogno ed atterrata nel posto sbagliato. Cosa dannazione è successo. Mi chiedo cosa ho fatto. Cosa gli ho fatto, cosa sto facendo. A tutti. Come mi viene bene, guardare dall'altra e scansare i paletti della verità, tenerli all'oscuto di tutto - non dico riuscirci, ma tentare. Lui, Vergil, Roona, Quinn. Come mi viene difficile, poi, però, guardarli negli occhi. Sento i mostri arrampicarsi su per la spina dorsale, diretti al cervello. Chissà come mi guarderebbero, quegli occhi, se sapessero. Vedo già l'ombra della delusione inerpicarsi come l'edera fra le sopracciglia di Roon. Scosse leggere scuotere la fermezza di Vergil. Il silenzio buio di Quinn. Quinn sa. L'ho già visto, quel silenzio, come parla. Anche lui, lo sa. Ma non fa domande. Mi avvolge nella sua anima corazzata e mi stringe a se. Mi fa svanire dentro il suo respiro. Sarei dovuta restare nella sala macchine, dal giorno in cui ho messo piede a bordo dell'Almost Home. Non avrei dovuto permettermi di infilare gli artigli sotto la morbidezza della fiducia altrui. Che bestia. Avrei dovuto chiudere il mondo fuori. Ma come fai ad aggiustare il 'Verse senza vedere, senza conoscere? E' come prendere una chiave inglese e procedere senza sapere quale sia il danno.

Ho visto la mia stessa distruzione, negli occhi di Roon. I giorni senza sonno, a scansare gli incubi come in una corsa ad ostacoli. Il vuoto, i fantasmi che si radunano per il the delle cinque e che ti guardano come se non fosse successo nulla. Ho visto i cortei sfilare per il suo sguardo, prima di caricarmi addosso il mio pezzo di peso d'assenza. Prima di portarlo dentro casa. A casa, finalmente. Avrei potuto dirle che si sarebbe aggiustato tutto, ma la mia riserva di frottole inizia a scarseggiare. La verità è che faremo saltare in aria ogni dannato culo blu da Capital City fino a Bullfinch, e questo non glielo riporterà indietro. Anzi, le toglierà anche me. Non posso guardarla negli occhi. Devo fare pulizia, prima. Quinn l'ha capito. L'ho guardata, mi ha guardata. L'ha capito.

Guardo i resti della pagina che ho strappato e mi chiedo cosa ho fatto. Ho lasciato Presta sola con la sua malattia, sono salita sulla moto ed ho percorso tutta Zenedoche Valley, fino alla tomba di Rotten. Sono restata seduta lì fino a notte. Niente, intorno. Nessuna parola, nessuno sparo, nessun whisky, nessun giusto, nessuno sbagliato. Pulizia. 

E' nel silenzio, che si trovano le risposte. Te ne accorgi in fretta, di quello che ti manca, quando stringi il nulla. Mi manca il browncoat. Mi manca l'alcol. Mi manca la memoria di Presta, i suoi ricordi del giorno precedente. Non ha mai lasciato Safeport, dannazione. Ha viaggiato attraverso le storie degli altri, gli aneddoti dei capitani che portavano la loro nave a riparare da lei. Passava le giornate ad osservare la gente, a collezionare dettagli per poi gettarli al vento dopo averli raccontati ad altri. Sapeva dirti da dove venivi prima che aprissi bocca. Altrimenti se lo inventava, e finivi per crederle, qualunque cosa dicesse. Mi manca l'odore della Almost Home, nel silezio del cimitero. Il rumore estenuante della sala macchine. La superficie rabbiosa di Culo di Chiodi ed il mistero del cosa vi si nasconda sotto. Le praterie infinite. Buck, e la sua voce tuonante. Mi manca persino la sua assenza. Roger, e la sua storia contorta, il suo accento di Whitmon, la sua aria da professorino, le sue sberle da rivoluzionario. Rotten, che in fondo è davanti a me ma poi non c'è proprio. Il Black Oak. Mi manca Roon. La Roon di prima, quella con gli occhi pieni di luce. E la Roon di dopo, quella che in qualche modo nel buio è così vicina da sfiorarsi. E Quinn, ed il nostro mondo di whisky, già conquistato. La nostra telepatia liquida, unica ed intermittente. Mi manca Vergil, ed il suo essere come il miele. Liquido ma lento, nello scorrere. Forte, calmo. Una dolcezza naturale, che ha il colore dei campi aperti e della battaglia finita. Un qualcosa che si appiccica a tutto e lo analizza, e travolge il mondo con una tale lenta fermezza che il mondo non se ne accorge neanche. E più di tutto, nel silenzio della pulizia, nella polvere del niente fra le dita mi manca lui. Il ricordo mancante di tutto quello che è stato. Il suo coraggio senza condanna. I pezzi di un passato sparsi a terra, che non si prende la briga di chinarsi a raccogliere. I suoi specchi ed i suoi fantasmi. Il suo odore, che dipinge forme strane nel caos della stanza. Il fremito dell'angolo della sua bocca. Puttanedaguerra, l'angolo della sua bocca. La testa tra le mani, non so piú in che lingua urlarmi nella testa, per farlo smettere. Un segno che i tempi stanno cambiando, dentro. Che è ora di prepararsi per la fine.

Devo avere un'aria tremenda, quando torno all'officina. Presta sta già dormendo. Joe, con la sua aria da assassino della Triade e con la sua vocina da adolescente mi vede, affondata nella mia faccia pallida, completamente slavata. Mi chiede se non voglio vedere un dottore. Mi metto a ridere così sguaiatamente che mi guarda come se fossi una pazza isterica.

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