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Mi ha dato un quaderno. Senza righe, senza quadretti, senza limite. La mia biblioteca ammonta ora a tre pezzi. The Imaginary, di Roger. L'abbecedario di Jacob. Ed il quaderno vuoto di Ritter. Solo a sfiorarlo mi gira la testa. Devo premere con più forza, per soffocare i suoi contorni, per sfondare le sue parole. Non so ancora come cacciare via quella sensazione. Il torpore della sicurezza, quella sensazione di protezione che mi ha lasciato impressa sulla pelle. Come un'armatura pesante, che mi tiene ancorata a terra. Che mi fa capire che ogni passo costa, e tanto.
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Sono di nuovo di fronte a Presta, o meglio. Mi ritrovo di nuovo con la faccia affondata nel quadernino. L'alternativa è guardarla in faccia, e non ne ho la forza. Mi dice che dobbiamo parlare. Non so più di cosa. E' stata una guerra di silenzi, iniziata a parole. Dal momento in cui ho messo piede in officina ho capito che c'era qualcosa che non andava. Presta sbraita, è una cosa congenita. Non parla mai a voce bassa. Ha parlato a voce bassa, quando mi ha vista.
Dice che ha iniziato ad accorgersene l'anno scorso. Non mi ha detto nulla perchè... Si è bloccata. Non aveva una scusa credibile. E' iniziato con le piccole cose. Le ordinazioni, le liste. I registri. Se ne sono accorti solo grazie a Joe. Chi è Joe, mi chiede.
Il dottore le ha detto che si tratta di una cosa degenerativa. Vuol dire che dimenticherà sempre di più, fino a trovarsi probabilmente in mezzo a Jackmark in mutande una mattina, senza nemmeno sapere chi sia. Sino al giorno in cui non saprà più chi sono io.
Il Dr. Paulson ha tentato di convincerla. L'ospedale di Capital City è l'unica soluzione. Lei ha tirato fuori il cannemozze, se l'è appoggiato sotto il mento, contro l'inizio molle della gola, ed ha detto di avere un'ottima alternativa.
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La sickbay è vuota. Zachary avrebbe detto che basta non pensarci. Roger gli avrebbe mollato una sventola sulle orecchie. La presenza di quel vuoto è costante, pesante. L'idea di Buck si nasconde nel ghiaccio di Eivor, fra le sopracciglia di Scott, fra i miei denti. Non sappiamo come parlare, siamo una banda di sociopatici con il prurito per l'ingiustizia ed una sana dedizione alla rivoluzione. Non ho idea di come finiremo. La cosa certa è che non ci fermeremo, quindi probabilmente svaniremo in corsa. Spero che Buck ci sia già arrivato, alle valli verdi di Safeport. Il mondo in cui l'Alleanza se l'è presa nel culo. Poi mi ricordo che dopo, c'è solo il nulla.
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Pago un prezzo al tribunale del mio cervello ogni volta che sfioro il fondo della pagina. Dovrei lasciarlo solo con la sua morfina. Non ho nessun diritto di andare a mettergli la vita sottosopra. Non ho nessun diritto di distogliere l'attenzione dalla causa. Eppure è come se tutto si stesse fondendo insieme. I suoi occhi, il bisogno di un nuovo 'Verse dove i fantasmi non esitono più. Stradicare la copertura marcia, bruciare tutte le bugie. Far saltare in aria le catene che ci legano all'illusione. La guerra non finirà mai, se continuamo a fare finta che sia già finita.
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Per la prima volta da quando posso ricordare mi sto riparando. Mi sta aggiustando. Con la passione furiosa, con i silenzi infiniti. "Casa" è sempre un'idea sfuggente, un concetto in movimento. Ora, come dopo la tempesta della rivoluzione, sta diventando palpabile. Voglio sentire fra le sue parole che ho ragione, che finirà tutto nel nulla. E poi contraddirlo. Ringhiare che non è vero, perchè non esiste una fine. Ora è tutto, ed ora ci siamo noi. Passare ore a contraddirci. A smontarci in pezzetti minuscoli, a studiarci meravigliati. Nel mondo delle valli verdi di Safeport l'avrei chiamata felicità. Ora è semplicemente tutto.
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La sala motori è un inferno travestito da macchina. Credo l'inferno, quello nelle idee dei cristiani, sia un posto dove la gente è costretta a pensare. Il paradiso è dove ti fai di visioni divine, mentre la cosa più tremenda alla quale possa venir costretta la tua anima è il pensiero, all'infinito. La sala motori, il pentolone dei pensieri. All'infinito.
Prossima fermata, Shadetrack.
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